L’articolo 37 della Costituzione stabilisce che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione famiglia ed assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Nonostante la legge italiana attui questo principio, sussistono ancora delle differenze di genere, soprattutto a livello di retribuzione. Differenze che fanno capo a una sorta di “tutela della maternità” che, in fin dei conti, tanto tutelante non è.
Vediamo insieme alla Dot.ssa Vania Molini, avvocato e membro del team del portale Formazioneinfanzia.it di Mustela, quali sono le norme del congedo parentale e quali sono le differenze tra maternità e paternità.
Congedo parentale: analizziamolo insieme
A seguito della nascita dei figli, ai neo-genitori sono concessi un periodo di astensione facoltativa e uno di astensione obbligatoria dal lavoro.
Il primo – anche chiamato, per l’appunto, congedo parentale – stabilisce il diritto del padre e della madre di potersi astenere dal lavoro per un periodo complessivo e non superiore ai 10 mesi e fino a un’età massima del bambino di 12 anni. Un tipo di congedo che, per sua natura, prevede una retribuzione del 30% del totale percepito dal lavoratore.
Il secondo, invece, prende il nome di congedo di maternità, ed è un diritto riconosciuto a tutte le lavoratrici, dipendenti e autonome, iscritte alla gestione separata dell’Inps e, in alcuni casi, anche alle madri “cessate” o “sospese” dall’attività lavorativa. A questo, chiaramente, nessuna lavoratrice può rinunciare.
I dettagli
L’art. 16 del Testo unico sulla maternità e paternità (D.lgs 151/2001) stabilisce che “È vietato adibire al lavoro le donne durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e durante i tre mesi successivi al parto”. Tuttavia, l’art. 20 dello stesso riconosce alla lavoratrice la possibilità di godere del congedo di maternità in forma flessibile (quella che oggi viene detta maternità agile), ritardandone la data di inizio e, di conseguenza, quella di fine. Il congedo obbligatorio, inoltre, può essere richiesto anche dal padre in diverse circostanze. Nel dettaglio:
- Quando la madre presenta una grave malattia.
- Qualora il figlio dovesse essere abbandonato dalla madre.
- Nel caso in cui sussista l’affido esclusivo al padre.
si parlerà in questo caso di congedo di paternità.
La durata di questa tipologia di congedo è di cinque mesi (gestibili in base all’azienda e alle consulenze di un ginecologo) e alla madre spetta l’80% della retribuzione calcolata sulla base dell’ultima busta paga – benché in alcuni contratti possa essere stabilita una retribuzione del 100% – mentre al padre spetta sempre il 100%.
L’avvocato Molini, inoltre, sottolinea inoltre che dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del congedo di maternità – e, comunque, fino al compimento del primo anno di età del bambino – vige il divieto di licenziamento, di trasporto e sollevamento pesi, di lavori pericolosi, faticosi, insalubri e al lavoro notturno per la neo-mamma. Inoltre, nel momento in cui una madre rientra al lavoro, ella avrà diritto alla medesima unità produttiva, alle stesse mansioni e al diritto di riposo (ne vengono riconosciuti due di un’ora ciascuno considerabili come ore di lavoro, ndr).
«Fino al compimento dei tre anni del figlio, inoltre, entrambi i genitori possono astenersi dal lavoro per la malattia del bambino, senza limiti di tempo. Si tratta, però, di un tipo di permesso non retribuito» conclude, infine, l’avvocato Vania Molini.