Dott. Francesco Raffelini: “Ricostruire le articolazioni per mantenerle più a lungo e sfruttarle nel tempo. L’obiettivo? Creare un’alternativa valida alla chirurgia sostitutiva protesica, soprattutto in caso di pazienti giovani e con stili di vita attivi”.
Biologia applicata all’ortopedia. Si potrebbe sintetizzare così il significato di Ortobiologia, un argomento di recente interesse nel campo ortopedico. Ne ha parlato il Dott. Francesco Raffelini, medico chirurgo specializzato in Ortopedia e Traumatologia e in tecniche biologiche rigenerative nelle patologie cartilaginee articolari, intervistato da Emanuela Folliero durante la nona puntata di QUI Talk.
Cosa si intende per Ortobiologia?
“È un argomento molto interessante e molto recente. È l’applicazione della biologia all’ortopedia, sostanzialmente la capacità di capire i meccanismi di guarigione naturali che abbiamo dentro di noi. Avete presente quando, ad esempio, ci procuriamo un piccolo taglio sulla pelle e cicatrizziamo, e poi guariamo? Questo stesso processo ma applicato a patologie articolari, ortopediche e quindi riguardanti la ricrescita dei tessuti tendinei, piuttosto che dei tessuti cartilaginei”.
Quali possono essere i campi di applicazione?
“Il campo principale è l’applicazione ai tessuti nobili. I tessuti nobili ortopedici nelle articolazioni sono sostanzialmente i tessuti cartilaginei quindi quelli che, un po’ come le cellule nervose, non hanno la capacità di autorigenerazione, se non in una fase embrionale della nostra vita. Così come anche i tendini, che sono altre strutture che non si rigenerano e che con gli anni si usurano e si consumano. Questi due tessuti sono il target dell’Ortobiologia”.
Facciamo un esempio pratico.
“Nel nostro sangue abbiamo le piastrine. Le piastrine sono elementi molto interessanti perché concorrono alla produzione di un tessuto cicatriziale e di trasformazione. Le piastrine hanno dentro di loro dei granuli ricchi di fattori di crescita, che sono indirizzati a far ricrescere i vari tessuti, come il tessuto osseo o il tessuto tendineo. L’utilizzo di questi fattori di crescita applicati alle lesioni cutanee può determinarne la rigenerazione”.
Nella chirurgia della cuffia dei rotatori che lei svolge abitualmente, utilizza l’Ortobiologia?
“Assolutamente sì. L’Ortobiologia è sostanzialmente l’utilizzo di quei biologici che possono essere fattori di crescita, cellule mesenchimali adulte prelevate dal grasso autologo o dal midollo osseo, peptidi di collagene. Ma anche, inizialmente, l’acido ialuronico, molto utilizzato nelle prime patologie infiammatorie articolari. Tutti questi materiali, definiti insieme come biologici (biologicals, per gli americani), possono essere applicati di volta in volta in base al tipo di lesione e all’età del paziente.
Negli anni posso dire di aver sicuramente aumentato l’utilizzo dell’Ortobiologia nella mia personale attività medica. Da una parte perché è cresciuta l’esperienza, dall’altra perché sono aumentati i lavori scientifici che ne hanno convalidato l’utilizzo. Al momento potrei dire che circa il 70% della mia attività è una chirurgia perlopiù ricostruttiva articolare con l’utilizzo di questi elementi”.
Siamo, quindi, in un momento di evoluzione.
“Sì, ma anche di transizione. La ricerca in questo momento sta cercando di capire quali sono gli elementi che possono andare a rigenerare i tessuti, quindi i materiali su cui applicare questi elementi per poi essere impiantati sui tessuti stessi. C’è una fase di ricerca molto intensa e di possibile sviluppo futuro. In Europa, tuttavia, siamo in un momento di stallo. Ma grazie a congressi e altri appuntamenti internazionali, è possibile mantenersi aggiornati.
La speranza è quella di poter applicare sempre più l’Ortobiologia all’ambito ortopedico: esiste sostanzialmente una chirurgia, che è quella ricostruttiva, che deve cercare di evitare la chirurgia sostitutiva. Certo, non va demonizzata la chirurgia protesica, ma è una chirurgia di un paziente un po’ più anziano, magari meno performante o con minore richiesta di attività funzionale sportiva. Se noi implementiamo la nostra possibilità di ricostruire le articolazioni, possiamo mantenerle più a lungo e sfruttarle maggiormente nel tempo”.