La chirurgia protesica di spalla sta vivendo una vera e propria evoluzione. Quella che un tempo veniva considerata la “sorella minore” della protesica di anca e ginocchio ha raggiunto oggi un livello di sofisticazione e applicazione tale da guadagnarsi uno spazio sempre più rilevante nella pratica ortopedica. Ne abbiamo parlato con il Dott. Maurizio Rubino, chirurgo ortopedico, che ci ha fornito una panoramica dettagliata sulle nuove tendenze e approcci in questo settore.
Protesi di spalla anatomica o ad articolarità invertita?
“Una volta, la distinzione tra una protesi anatomica e una ad articolarità invertita era piuttosto netta” spiega il Dott. Rubino. “Le protesi anatomiche erano riservate ai pazienti con una cuffia dei rotatori ancora funzionante, mentre quelle invertite venivano impiegate nei casi in cui la cuffia fosse compromessa”. Inoltre, il processo di fissazione prevedeva quasi sempre l’utilizzo di cemento per lo stelo omerale, ma raramente a livello della glena scapolare.
Oggi il panorama è cambiato radicalmente. “Nei centri di eccellenza, inclusa la nostra struttura, oltre il 90-95% degli interventi prevede l’utilizzo di protesi inverse” specifica il chirurgo. Questo tipo di impianto consente di garantire una maggiore stabilità e mobilità anche nei pazienti che presentano gravi compromissioni muscolari, ridefinendo così le possibilità di trattamento.
Protesi di spalla anatomiche: un ruolo residuale, ma strategico
Nonostante il predominio delle protesi inverse, il Dott. Rubino sottolinea che le protesi anatomiche non sono del tutto scomparse. “Le utilizziamo principalmente in pazienti giovani con esiti traumatici, dove la cuffia dei rotatori è ancora in grado di fornire una certa funzionalità e in cui il muscolo garantisce un movimento all’impianto che andremo a fare”. Tuttavia, anche in questi casi, la strategia chirurgica si sta adattando: “Spesso scegliamo di non impiantare la componente glenoidea, adottando un approccio interlocutorio. Questo ci consente di preservare il paziente per una futura conversione alla protesi inversa, se necessario”.