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Nel mondo del motocross, pochi nomi risuonano con la stessa potenza e risonanza di Tony Cairoli. Con nove titoli mondiali e una carriera spettacolare che ha incantato gli appassionati di tutto il mondo, Cairoli si è guadagnato un posto nella storia dello sport come uno dei più grandi piloti di tutti i tempi. Ma chi è l’uomo dietro il casco, il campione dietro le vittorie? In questa intervista, abbiamo avuto l’opportunità di incontrarlo lontano dal frastuono delle piste da corsa, per scoprire la persona che si cela dietro il leggendario pilota.
Partiamo dal principio, come ti sei avvicinato al mondo delle due ruote e quando hai capito che volevi e potevi diventare un pilota professionista?
La mia storia è iniziata il 23 Settembre del 1985, a Patti, in provincia di Messina. La vita non è stata particolarmente facile all’inizio, unico maschio, ultimo di quattro figli in una famiglia semplice. Sono stato messo su una mini moto all’età di quattro anni da papà Benedetto, che avrebbe voluto fare il pilota come lo sono diventato in seguito io, ma che non ha mai potuto permetterselo. I miei genitori sono stati i primi a credere nel mio talento e i primi a darmi la possibilità di esprimerlo, facendo sacrifici senza sosta per anni. Ho capito sin da subito che il motocross sarebbe stata la mia vita.
La mia seconda famiglia è stata quella dei De Carli, con loro ho corso per 18 anni e con loro ho vinto 92 Gran Premi, 9 titoli di Campione del Mondo e 1 titolo di Campione del Mondo al Motocross delle Nazioni.
Il motocross è un mix di velocità e spettacolo. In questo sport serve più preparazione fisica, mentale, oppure una moto performante?
Tutto conta, non saprei definire una percentuale precisa di ogni elemento, ma so di certo che se manca una sola di queste cose non si va molto lontano. Posso essere preparato alla perfezione ma se non ho il giusto feeling con la moto non riuscirò mai a spingerla al limite e se non ho un team che lavora al meglio per me non arriverò mai a ottenere grandi traguardi. Per questo per vincere serve un po’ di tutto… e aggiungerei anche un pizzico di fortuna.

Qual era la tua preparazione fisica e il tuo regime alimentare per affrontare le competizioni al meglio?
Per quanto riguarda la preparazione fisica, dipende dal periodo dell’anno. Durante la preparazione invernale lavoravo parecchio in palestra, per concentrarmi sulla forza e sulla resistenza. Durante la stagione, invece, mi allenavo 3/4 volte in moto e molto spesso uscivo in mountain bike, anche perché dalle mie parti ci sono molti itinerari splendidi in fuoristrada.
Riguardo l’alimentazione, mi tenevo alla larga da cibi elaborati e pesanti, ma in generale mangiavo un po’ di tutto, non ho mai seguito un regime alimentare troppo rigido. Ho sempre avuto un ottimo metabolismo.
Hai vissuto una carriera costellata di successi: qual è il tuo ricordo più emozionante? E quello più brutto?
Il ricordo più bello è sicuramente la vittoria del mio primo campionato del mondo, perché in quel momento tutti i sacrifici che io, la mia famiglia e il mio team abbiamo fatto sono stati ripagati. I ricordi più brutti sono sicuramente quelli legati agli infortuni, che per un atleta sono sicuramente l’aspetto più difficile da affrontare perché ti tengono lontano da ciò che ami fare.
Hai vinto 9 mondiali e sei il miglior pilota della storia italiana del Motocross. Come riuscivi a tenere alta la motivazione anche dopo aver vinto tutto?
La passione è sicuramente la cosa che mi ha sempre spinto ad andare avanti e a dare il massimo ogni volta che scendevo in pista. Ho sempre avuto attorno a me le persone giuste che mi hanno motivato e supportato anche nei momenti più difficili della mia carriera. Dopo ogni vittoria la motivazione cresceva sempre di più: tutto questo mi ha dato la forza di conquistare 9 titoli mondiali.
Nel 2019 sei diventato papà di uno splendido bambino, Chase. Dovesse percorrere le tue orme, qual è il consiglio più prezioso che vorresti donargli?
Chase sarà indubbiamente libero di scegliere il percorso del suo futuro, ma avendo trascorso la sua infanzia nel paddock, la sua passione per questo sport è già evidente. Da parte mia, non metterò mai alcuna pressione su di lui. Cercherò di trasmettergli la consapevolezza di quanto impegnativo sia questo sport, e dei sacrifici che occorre fare per raggiungere obiettivi importanti. Allo stesso tempo, gli ricorderò sempre che lo sport deve essere, prima di tutto, un divertimento.
Dopo il ritiro dalle gare professionistiche sei diventato team manager e ora collaudatore in Ducati. Non eri ancora pronto per appendere il casco al chiodo?
Il ruolo di tester e collaudatore mi ha sempre affascinato, specialmente dopo il mio ritiro dalla carriera di pilota professionista. La scorsa stagione essere Team Manager è stata un’esperienza entusiasmante, soprattutto lavorando a fianco di Andrea Adamo nella sua conquista del titolo di Campione del Mondo MX2. Tuttavia, al momento non vedo ancora questo ruolo come perfettamente adatto a me. La passione per la guida delle moto è ancora viva in me, e chissà, magari fra qualche anno potrò valutare il ritorno alla guida di un team.
