giovedì, Febbraio 13, 2025
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Intervista ad Aldo Montano: “Una vita in pedana”

Foto di Augusto Bizzi

Dagli inizi della sua carriera nella scherma, passione nata grazie ai racconti del nonno e del padre, fino all’ultima Olimpiade a Tokyo, dove ha vinto l’argento a squadre a 43 anni. Aldo Montano è un nome che ha lasciato un’impronta indelebile nello sport italiano. Oro olimpico e pluricampione mondiale, Montano ha saputo conquistare il pubblico non solo con la sua abilità atletica, ma anche con il suo carisma al di fuori della pedana di gioco.
In questa intervista ci ha raccontato il suo viaggio, tra passato e presente. Un percorso ricco di successi e trasformazioni, che testimonia la versatilità e la passione di un vero campione.

Sei nato in un contesto in cui si respirava già la scherma. Tuo padre è stato un grande schermidore, cosa ti ha insegnato che ti è servito nel corso della tua carriera? E soprattutto hai mai sentito la pressione dell’essere “figlio di”?

Il primo ad aver avuto questa passione è stato mio nonno, che ha vinto 5 mondiali e 2 argenti olimpici. Io ascoltavo i suoi racconti degli anni ‘30, molto lontani dai nostri tempi, che mi rapivano e mi hanno fatto appassionare a questo sport. Con i suoi aneddoti mi spiegava anche il contesto storico in cui gareggiava, dalle olimpiadi sotto il regime nazista a quelle del post-guerra. Quindi mi ha anche insegnato un po’ di storia attraverso lo sport.
Anche mio padre ha fatto 3 Olimpiadi in contesti storiografici molto particolari. Ecco, quindi ho vissuto i racconti olimpici un po’ come narrazioni storiche.
E quindi è stato un innamoramento naturale, non c’è mai stato alcun obbligo o pressione da parte di mio padre e della mia famiglia. Nessuna costrizione, ma solo insegnamenti e buoni principi!

Hai vinto tante medaglie, sia olimpiche che mondiali: qual è il momento più importante della tua carriera? E quello più brutto?

Ho alternato grandi imprese a brutte disfatte, ma questo mi è stato anche un po’ di insegnamento. È un po’ la metafora della vita. Forse non sarei stato in pedana 25 anni se non avessi avuto questa alternanza di risultati. Sicuramente tra i momenti più belli ci sono le Olimpiadi del 2004 e i Mondiali del 2011, dove ho vinto tutto. Delle bellissime gare a squadre in cui si condivide con i compagni di squadra qualcosa di magico!
L’argento ai mondiali 2009 in Turchia mi rimase invece molto di traverso. Lì venimmo rimontati sul finale dall’Ungheria, con un vantaggio di 40 a 32.
Poi l’ultima, a Tokyo, dove abbiamo vinto l’argento. Bellissima, combattuta contro tutti e tutto, in primis l’età. Poi avevo malanni vari tra cui una necrosi all’anca che mi porto tuttora dietro e per cui dovrò sottopormi ad un intervento di protesi. È una cosa che posticipo da un po’, anche a causa del Covid, per il quale non sapevamo se e quando ci sarebbero state le olimpiadi. E mi sarebbe dispiaciuto non partecipare, dopo anni di preparazione. Mi sono fatto trovare pronto a 43 anni ed è stata una soddisfazione enorme.

aldo montano qui salute magazine
Foto di Augusto Bizzi

Nella tua carriera hai visto più di una generazione di schermidori. Hai visto differenze di approccio tra la tua generazione e la loro, sia a livello fisico che mentale?

Ho visto un abisso! Prima forse lasciavamo più spazio al talento e alla fantasia, ora gli atleti sono molto più “seri”. A 13/14 anni hanno già uno staff che li gestisce con psicologo, preparatore, nutrizionista… L’evoluzione quindi è stata molto grande. Secondo me, si perde però qualcosa che è intrinseco nella natura italiana, ovvero l’estro, la fantasia, il trovare schermisticamente l’azione automatica nell’attimo giusto. Spesso mi chiedono: “come hai preparato quella stoccata?”. In realtà è il totale istinto lasciato libero, a disposizione del match. Che poi è anche la parte divertente di un combattimento di scherma.
Un altro elemento diverso rispetto alla mia generazione è l’approccio alla squadra. Quando andavamo a fare le trasferte era un vero divertimento, grazie ad un grande spirito di squadra. Sono cose che ti fanno crescere e che ti porti dietro tutta la vita. Non esistevano i cellulari e quindi stavamo 24 ore su 24 tra di noi.
Nelle generazioni più moderne ognuno può fare vita a sé. Chi con lo smartphone, chi con il computer, chi guarda Netflix… Insomma, si è un po’ perso lo spirito goliardico di vivere la trasferta insieme.
Non è peggio, è solo diverso l’approccio. Poi ci pensa lo sport a legarti, condividendo gioie, dolori ed emozioni.

Cosa ti manca della vita in pedana?

Mi manca l’adrenalina, quell’ansia tipica della gara. Lo svegliarsi la mattina per giocare un Mondiale o un’Olimpiade e avere quella carica che si ha per un match importante, con un sacco di pensieri in testa.

Ti stai dedicando a diversi programmi TV, l’ultimo è stato “La pupa e il secchione” in cui facevi da giudice. Come stai vivendo questa nuova vita televisiva?

Sono sempre stato fortunato e ringrazio chi ha creduto in me durante questo percorso alternativo alla mia carriera sportiva. Mi è sempre piaciuto sperimentare e impegnarmi in cose diverse rispetto alla scherma. Ho sempre preso le cose in modo leggero, ma comunque con la serietà che contraddistingue uno sportivo, con il massimo dell’impegno, cercando di far bella figura.
Poi io iniziai nel 2004, quando ancora non c’era questa richiesta di sportivi nel mondo televisivo. È bellissimo, perché ho aperto un po’ la strada ad un settore che evidentemente piace, forse per i valori o per ciò che rappresentano gli sportivi per gli italiani.

Sei socio della Golden Sabre Agency, come è nata questa avventura?

L’avventura è iniziata con Cristina Lodi che mi aveva aiutato per delle collaborazioni commerciali. Poi la cosa è diventata più grande, inserendo altri atleti, portando la mia esperienza nel far monetizzare gli anni di vita di uno sportivo olimpico.
Poi insieme ad Ignazio Moser e Nicola Ventola ci siamo strutturati in modo professionale e ognuno porta la sua esperienza. Ignazio sulla parte fashion e influencer, io sulla parte sportivo-olimpica, Nicola su quella calcistica. Cristina fa da direttrice e sopporta tutti i disastri che noi combiniamo! (ride, ndr)
Si tratta di una società che recluta talenti al servizio di brand, situazioni commerciali e aziende che vogliono integrare nella loro comunicazione la presenza di un influencer o uno sportivo. Un bel progetto che condivido con veri professionisti, ma soprattutto amici!

 

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