lunedì, Novembre 10, 2025
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Diabete tipo 1, lo screening ai bambini riduce del 94% il rischio di gravi complicanze

La diagnosi precoce del diabete di tipo 1 consente di ridurre del 94% il rischio di gravi complicanze. Grazie allo screening, è prevedibile che ogni anno più di 450 bambini evitino la chetoacidosi, la più pericolosa conseguenza della malattia, a volte fatale. In occasione della Giornata Mondiale del Diabete, la Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) ha condiviso i risultati di due importanti studi pubblicati su Diabetologia, focalizzati sulla popolazione pediatrica con e senza screening.

Confronto tra studi su chetoacidosi e screening

Il primo studio, guidato da Valentino Cherubini, presidente SIEDP e referente per il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, ha esaminato la frequenza di chetoacidosi nei bambini la cui diagnosi è avvenuta alla comparsa della complicanza. Il secondo studio, realizzato da ricercatori tedeschi nel contesto del progetto Fr1da per la diagnosi precoce, ha analizzato la frequenza di chetoacidosi in bambini sottoposti a screening.

I numeri del diabete di tipo 1 nel mondo e in Italia

A livello globale, sono 8,4 milioni le persone affette da diabete di tipo 1, con mezzo milione di nuovi casi ogni anno in età infantile. L’Italia conta oltre 20mila bambini con diabete di tipo 1 e una delle prevalenze più alte di chetoacidosi.

“Questa grave complicanza si sviluppa quando l’organismo non produce abbastanza insulina e comincia a scomporre i grassi per sostenere i processi metabolici, accumulando chetoni nel sangue. Ciò può portare ad alterazioni neurologiche pericolose, che nelle forme più severe possono risultare fatali”, spiega Cherubini, esperto mondiale nella diagnosi precoce e prevenzione della chetoacidosi.

Risultati degli studi sulla diagnosi e riduzione della chetoacidosi

“Nel nostro studio, condotto su 59mila bambini in 13 Paesi su tre continenti tra il 2006 e il 2016, abbiamo rilevato che in Italia, dove la diagnosi avviene spesso alla comparsa dei sintomi, la frequenza di chetoacidosi nei bambini più piccoli è del 41,2%, con un secondo picco tra i 10 e i 12 anni”, riferisce Cherubini. “Confrontando questi dati con quelli del progetto Fr1da, nei bimbi sottoposti a screening l’incidenza di chetoacidosi è stata solo del 2,5%, riducendo del 94% il rischio rispetto al nostro studio”.

“Questi dati confermano l’importanza straordinaria della legge 130/2023, che ha istituito in Italia – primo Paese al mondo – un programma nazionale di screening pediatrico, con l’obiettivo di prevenire la chetoacidosi”, sottolinea l’esperto.

Progetto pilota e futuro dello screening nazionale

Dall’approvazione della legge, un progetto pilota in quattro regioni ha dimostrato la fattibilità dello screening e la sua estensione a livello nazionale è prevista entro il prossimo anno. “Il progetto, avviato a marzo 2024, ha coinvolto finora 3.600 bambini e lo 0,23% è risultato positivo al test. Si prevede che lo screening tra i 2 e i 3 anni e tra i 5 e i 7 anni permetterà di identificare 1.113 bambini positivi a due o più anticorpi, con un rischio certo di sviluppare la malattia. Grazie alla riduzione al 2,5% della chetoacidosi, resa possibile dallo screening, oltre 450 bambini ogni anno potranno evitare questa pericolosa complicanza”, spiega Cherubini.

Teplizumab: nuova opportunità per ritardare l’esordio del diabete

Per la prima volta in Italia, il farmaco Teplizumab è disponibile per uso compassionevole. Approvato dalla FDA negli Stati Uniti nel novembre 2022, è il primo trattamento in grado di ritardare l’esordio del diabete di tipo 1. Sarà disponibile per bambini dagli 8 anni in su con diabete di tipo 1 di stadio 2, positivi a due o più autoanticorpi e con disglicemia.

“Teplizumab è un anticorpo monoclonale somministrato per via endovenosa, capace di ritardare l’insorgenza della malattia e offrire mesi o anni di vita senza i sintomi”, spiega Cherubini. “Il farmaco prevede una somministrazione giornaliera per due settimane e agisce legandosi a cellule specifiche del sistema immunitario, che in individui con diabete di tipo 1 innescano una risposta autoimmune. Da uno studio su 76 pazienti in stadio preclinico, dopo circa 51 mesi, il 45% dei pazienti trattati con Teplizumab ha ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 1, contro il 72% di quelli trattati con placebo, evidenziando un significativo ritardo nell’esordio”, conclude Cherubini.

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