Un recente studio condotto dall’Università di Firenze, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, ha individuato un meccanismo cellulare che potrebbe essere alla base del dolore cronico associato all’endometriosi. Questa patologia debilitante colpisce circa il 15% delle donne in età fertile e tra il 30% e il 50% delle donne che soffrono di infertilità.
La ricerca, guidata dai ricercatori Francesco De Logu e Romina Nassini del Dipartimento di Scienze della Salute (DSS), è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications, segnando un importante passo avanti nella comprensione di questa malattia.
Il ruolo delle cellule di Schwann nel dolore cronico
Il team di ricerca si è concentrato sulle cellule di Schwann, un particolare tipo di cellule gliali del sistema nervoso periferico, per comprendere meglio la propagazione del dolore nell’endometriosi. Questa malattia si caratterizza per la presenza anomala di tessuto endometriale al di fuori dell’utero, che normalmente dovrebbe essere limitato alla cavità uterina. Tale condizione causa dolore pelvico cronico e una serie di altri sintomi, come dolori diffusi ed emicranie.
“Lo studio fiorentino – spiega Francesco De Logu – evidenzia che le cellule di Schwann sono fondamentali per l’attivazione di un processo infiammatorio doloroso. In tali cellule è presente un recettore per un particolare tipo di proteina (C5a), una molecola normalmente prodotta da cellule del sistema immunitario e coinvolta nella risposta contro infezioni batteriche. Il C5a è risultato inoltre aumentato nelle pazienti affette da endometriosi e questo comporta il rilascio dell’interleuchina-1β che richiama i macrofagi, cellule responsabili del processo infiammatorio”.
L’infiammazione diffusa e il ruolo della proteina C5a
La ricerca evidenzia un aspetto cruciale: la proteina C5a non solo innesca il processo infiammatorio nelle cellule di Schwann, ma contribuisce anche alla diffusione del dolore in altre aree del corpo, oltre a quella pelvica. “La nostra scoperta – aggiunge Romina Nassini – suggerisce che la proteina C5a svolga un ruolo cruciale nel generare infiammazione e dolore. Abbiamo osservato come il processo attivato dalle cellule di Schwann si diffonda dalle regioni pelviche ad altre aree del corpo. Così si spiega la natura diffusa del dolore nelle pazienti affette da endometriosi, che spesso lamentano emicrania e dolore agli arti inferiori”.
Questo fenomeno offre una spiegazione scientifica alla complessità dei sintomi riportati dalle pazienti, sottolineando come il dolore cronico associato all’endometriosi non sia confinato alla regione pelvica, ma rappresenti un problema sistemico.
Nuove prospettive terapeutiche
I risultati dello studio aprono la strada a possibili interventi terapeutici mirati. La modulazione del recettore C5a nelle cellule di Schwann potrebbe rappresentare una soluzione innovativa per limitare la diffusione del dolore nelle pazienti affette da endometriosi. Questa scoperta potrebbe anche influire sulla gestione di altre patologie dolorose croniche legate al sistema nervoso periferico.
“I risultati dello studio rappresentano un importante passo avanti nella comprensione del dolore cronico legato all’endometriosi – concludono i due ricercatori Unifi – e aprono nuove prospettive per trattamenti mirati. La ricerca potrebbe avere implicazioni anche per altre patologie dolorose croniche associate al sistema nervoso periferico”.
Malattie di genere: verso terapie più personalizzate
Questo studio sottolinea l’importanza di approfondire i meccanismi cellulari e molecolari specifici delle malattie che colpiscono il genere femminile. La comprensione di tali dinamiche potrebbe favorire lo sviluppo di trattamenti più efficaci e personalizzati, migliorando significativamente la qualità della vita delle pazienti.
La ricerca condotta a Firenze non solo porta alla luce nuovi aspetti dell’endometriosi, ma rappresenta anche un esempio virtuoso di come l’innovazione scientifica possa essere al servizio delle donne, affrontando una patologia che, per troppo tempo, è stata sottovalutata sia a livello medico che sociale.


