giovedì, Febbraio 13, 2025
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Le fratture vertebrali nell’anziano. Intervista al Dott. Mattia Bruzzo

L’intervista al Dott. Mattia Bruzzo

A volte, anche in assenza di un trauma o di una caduta ma semplicemente dopo dei movimenti particolarmente intensi in tensione, a causa dell’osteoporosi, una persona anziana può accusare mal di schiena. Un mal di schiena che potrebbe essere il campanello di allarme di una frattura vertebrale. «La maggior parte delle fratture osteoporotiche – spiega il Dott. Mattia Bruzzo, Neurochirurgo spinale – riguarda le donne». L’osteoporosi si può trattare. Bisogna affidarsi a specialisti competenti ed eseguire una MOC ogni due o tre anni per valutare densità e massa ossea, ma quando la lesione non si riesce a prevenire ecco che entrano in gioco diverse alternative per trattare la frattura.

Qual è la sintomatologia tipica?

«Il principale sintomo è il dolore, che se si presenta da solo fa generalmente ritardare molto la diagnosi. Invece quando sono presenti anche dei sintomi neurologici, cioè delle parestesie agli arti inferiori come formicolii o addirittura delle difficoltà a camminare e delle perdite di forza fino ad arrivare alla completa paraparesi, la diagnosi è tempestiva perché il paziente si reca al pronto soccorso dove verrà diagnosticata la frattura».

Quali esami sono essenziali per una diagnosi precisa?

«Il primissimo esame è la radiografia ma solo con la Risonanza magnetica (nelle sequenze STIR) riconosciamo  le vertebre rotte di recente. Solo attraverso la RM è possibile disporre di un quadro chiaro della situazione di quel preciso momento, infatti una TAC potrebbe confondere lo specialista mostrando fratture vecchie, mentre con la risonanza è possibile vedere quali sono le fratture recenti capendo se sono da trattare. Oltre ad evidenziare un’eventuale frattura, la RM mostra con chiarezza l’integrità dei legamenti e lo stato di compromissione delle strutture nervose, se c’è. Tutte informazioni essenziali per lo specialista che dovrà fornire al paziente le migliori possibilità di trattamento per il suo caso specifico».

E’ sempre necessario l’intervento chirurgico?

«Niente affatto. I casi come quello precedentemente descritto, con la presenza di sintomi neurologici, sono gli unici in cui una persona anche anziana va operata perché le strutture nervose hanno bisogno di essere decompresse. In tutti gli altri casi ci sono varie possibilità per gestire il problema, dai trattamenti conservativi ai trattamenti non chirurgici».

L’utilizzo di un busto, ad esempio?

«Il busto rappresenta la possibilità meno invasiva. Va ricordato che esistono due tipi di busto: uno va a coprire la zona lombare dalla terza vertebra lombare fino al sacro (il classico busto lombare con le stecche). Poi c’è l’altro tipo di busto, il busto rigido C35 che copre tutta la zona dorsale fino alla quarta dorsale e arriva fino alla L3 compresa. Poi esistono anche dei busti, utili in caso di fratture multiple, che coprono tutta la colonna dalle prime vertebre dorsali fino alle vertebre lombari e sacrale. Si tratta di una specie di busto in tela armata con un’impalcatura che arriva fino alle spalle».

C’è poi il trattamento non chirurgico…

«Il trattamento non chirurgico, ma invasivo, può avvalersi di iniezioni di cemento all’interno della vertebra (vertebroplastica o cifoplastica) per andare a stabilizzare la vertebra stessa. Altrimenti, sempre in anestesia locale quindi senza addormentare il paziente, si può optare per un altro trattamento che prevede l’inserimento di una specie di cricchetto attraverso i peduncoli delle vertebre rotte che si apre all’interno della vertebra e la rialza, permettendo poi delle iniezioni di cemento. Questo trattamento è più adatto ai pazienti giovani perché facendo questa manovra su pazienti anziani c’è il forte rischio di rompere le vertebre vicine».

E la chirurgia?

«Oltre al tradizionale intervento, ci sono anche delle tecniche chirurgiche percutanee di inserimento di viti e barre che permettono di andare a stabilizzare le vertebre rotte. Questo tipo di intervento prevede una notte di degenza e ai soggetti che presentano una condizione adatta a subirlo, permette di mettersi in piedi velocemente ottenendo un risultato definitivo. La ripresa è più rapida e si può godere di un ripristino migliore della fisiologica curvatura della colonna».

Dopo avere trattato una lesione vertebrale, quanto tempo serve per tornare a condurre la vita consueta?

«Dipende dal tipo di trattamento. Un paziente che ha subito una vertebroplastica o cifoplastica o una chirurgia percutanea si può mobilizzare subito e nel giro di due o tre settimane senza busto perché è stato l’intervento stesso a ridare stabilità alla colonna. Nei casi in cui il paziente opti per seguire un trattamento conservativo i tempi cambiano: si va da due a tre mesi di trattamento con busto a casi in cui è necessario molto più tempo, anche un anno. Prima di togliere il busto, anche in questo caso è bene eseguire una RM per verificare l’effettiva guarigione».

Dott. Mattia Bruzzo, Neurochirurgo spinale
Dott. Mattia Bruzzo, Neurochirurgo spinale

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