sabato, Aprile 19, 2025
spot_img

Demenza frontotemporale, da nuovo studio italiano una speranza contro la malattia che ha colpito Bruce Willis

Endocannabinoidi e demenza frontotemporale: nuova speranza terapeutica dallo studio italiano

Un innovativo studio condotto dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma apre nuove prospettive terapeutiche per la demenza frontotemporale, la malattia neurodegenerativa che ha colpito l’attore Bruce Willis. I risultati, pubblicati sulla rivista scientifica Brain Communications, dimostrano che la molecola co-ultraPeaLut potrebbe rallentare la progressione della patologia, migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Un passo avanti nella ricerca sulla demenza frontotemporale

Il gruppo di ricerca guidato da Giacomo Koch, vice-direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia IRCCS e ordinario di Fisiologia all’Università di Ferrara, ha evidenziato l’efficacia della palmitoiltanolamide (Pea) ultramicronizzata associata alla luteolina (Lut). Lo studio, che ha coinvolto 50 pazienti, ha analizzato l’effetto della molecola per un periodo di 6 mesi, confrontando i risultati con quelli ottenuti tramite placebo.

Cos’è la demenza frontotemporale e chi colpisce

La demenza frontotemporale è una patologia neurodegenerativa che interessa i lobi frontali e temporali del cervello. Secondo gli esperti, rappresenta la terza causa di demenza più diffusa e la principale tra le forme neurodegenerative nella popolazione sotto i 65 anni. Circa il 70% dei casi si manifesta tra i 45 e i 65 anni, con un impatto significativo sulle funzioni cognitive e comportamentali.

“L’attore di Die Hard ha dovuto abbandonare le scene dopo la diagnosi, poiché la malattia compromette anche la capacità di comunicazione”, spiegano i ricercatori. Il deterioramento progressivo della capacità di ragionamento, della risoluzione dei problemi e delle interazioni sociali rende questa patologia particolarmente invalidante.

I sintomi della demenza frontotemporale

La malattia si manifesta attraverso tre principali sindromi cliniche. Una riguarda la sfera comportamentale e sociale, mentre le altre due colpiscono il linguaggio, provocando afasia progressiva primaria. Nella variante agrammatica, il paziente ha difficoltà nella produzione del linguaggio, mentre nella variante semantica si verificano problemi di comprensione.

Inoltre, i sintomi cognitivi e comportamentali possono essere accompagnati da segni extrapiramidali, come rigidità, tremori e depressione, o associarsi alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Attualmente, non esiste una cura risolutiva, e le terapie disponibili si limitano a trattamenti sintomatici.

Nuove prospettive terapeutiche grazie agli endocannabinoidi

Gli studi più recenti suggeriscono che la neuroinfiammazione abbia un ruolo chiave nello sviluppo della demenza frontotemporale. Proprio per questo, i ricercatori hanno ipotizzato che farmaci in grado di modulare l’infiammazione cerebrale possano rallentare la progressione della malattia.

La molecola co-ultraPeaLut ha già mostrato proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive in patologie correlate, come la SLA. Uno studio pilota condotto nel 2020 aveva già evidenziato un miglioramento delle funzioni cognitive in 17 pazienti trattati per un mese con questa molecola.

Il trial clinico e i risultati della ricerca

Per validare ulteriormente l’efficacia della co-ultraPeaLut, il team di Koch ha avviato uno studio clinico randomizzato su 50 pazienti con demenza frontotemporale. I partecipanti sono stati trattati per 24 settimane con un dosaggio di 700 mg + 70 mg due volte al giorno.

“I risultati hanno dimostrato che il trattamento con co-ultraPeaLut ha ridotto la progressione della gravità globale della malattia”, spiega Koch. “Abbiamo osservato un declino minore nelle autonomie della vita quotidiana e un miglioramento delle funzioni linguistiche rispetto al gruppo placebo”.

Un segnale di speranza per i pazienti e le famiglie

Silvana Morson, presidente dell’Associazione Italiana Malattia Frontotemporale (AIMFT), sottolinea l’importanza di questo studio: “Questo lavoro apre nuove possibilità terapeutiche per una patologia che attualmente non dispone di trattamenti specifici”.

Koch conclude affermando che “questi risultati sono promettenti, ma saranno necessari ulteriori studi multicentrici di fase 2/3 per confermare la validità clinica di questo approccio terapeutico e comprenderne meglio i meccanismi d’azione”.

La ricerca sulla demenza frontotemporale è ancora in corso, ma questa nuova scoperta potrebbe rappresentare un passo avanti significativo nel miglioramento della qualità della vita dei pazienti.

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Ultimi articoli