È stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Alzheimer’s Research & Therapy una scoperta rivoluzionaria che potrebbe aprire nuove prospettive nella comprensione e nel trattamento della malattia di Alzheimer. Un team di ricerca italiano, coordinato dall’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, ha identificato un nuovo gene, GRIN2C, coinvolto nello sviluppo della patologia.
Il ruolo del gene GRIN2C nell’Alzheimer
La malattia di Alzheimer rappresenta la principale causa di deficit cognitivi gravi, con un impatto sempre più significativo sulla salute pubblica globale. Studi scientifici hanno dimostrato che questa patologia deriva da una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali. Tra questi ultimi si annoverano condizioni come ipertensione, obesità, diabete, depressione e isolamento sociale. Questi elementi favoriscono l’accumulo di proteine tossiche – beta amiloide e tau – nel cervello, innescando i processi neurodegenerativi tipici della malattia.
Il gene GRIN2C, appena identificato, codifica una subunità del recettore NMDA del glutammato, una molecola cruciale per la comunicazione tra i neuroni. “Questa scoperta suggerisce il ruolo di rare mutazioni genetiche anche come causa della malattia in età senile”, spiega il professor Innocenzo Rainero, già noto per aver contribuito nel 1995 all’identificazione del gene PSEN1.
Una scoperta nata dalla collaborazione tra eccellenze italiane
Il progetto di ricerca è stato guidato dalla dottoressa Elisa Rubino, ricercatrice presso il Centro per la Malattia di Alzheimer e le Demenze Correlate dell’ospedale Molinette e dell’Università di Torino, sotto la direzione del professor Rainero. Il team ha studiato una famiglia italiana con Alzheimer ad esordio senile, identificando mutazioni nel gene GRIN2C come causa della patologia.
La scoperta è stata resa possibile grazie all’impiego di avanzate tecniche di genetica molecolare e alla collaborazione con alcuni dei principali centri di ricerca italiani. Tra questi, il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia, diretto dalla professoressa Elisa Giorgio, e il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, rappresentato dal professor Alfredo Brusco.
Un ulteriore contributo è arrivato dal professor Fabrizio Gardoni, del Dipartimento di Farmacologia e Scienze Biomolecolari dell’Università di Milano, che ha dimostrato come le mutazioni nel gene GRIN2C aumentino l’eccitabilità neuronale e modifichino il legame della proteina con altre molecole neuronali.
Glutammato ed eccitotossicità: una nuova frontiera nella ricerca
La ricerca conferma l’importanza dei meccanismi legati all’eccitotossicità del glutammato nello sviluppo della malattia di Alzheimer. La dottoressa Rubino sottolinea: “Quando il glutammato interagisce con il recettore NMDA sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni calcio. Se questa stimolazione è eccessiva, si provoca un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare”.
Un dato clinico particolarmente significativo riguarda i pazienti portatori della mutazione: prima dello sviluppo del deficit cognitivo, essi hanno manifestato per anni disturbi dell’umore, in particolare episodi depressivi.