La commedia scanzonata cede il passo al dramma in questa pellicola diretta da Ferzan Özpetek uscita nelle sale nel 2014, riscontrando grande successo di pubblico e diventando un inno alla prevenzione.
In “Allacciate le cinture” tutto inizia con importanti progetti di vita e un amore che sembrava impossibile; tutto finisce con una diagnosi di tumore al seno che catapulta lo spettatore nel momento più buio della vita di un individuo, costringendolo a mettersi nei panni dei protagonisti, a cui è sempre bene ricordare l’importanza della prevenzione e dei check up periodici.
Il cast porta in scena alcuni dei volti più celebri del panorama cinematografico italiano, dall’attrice polacca Kasia Smutniak a Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Carolina Crescentini, Paola Minaccioni, Luisa Ranieri e il giovanissimo Filippo Scicchitano, oltre ad un Francesco Arca alle prime armi davanti ad una regia di tale calibro.
Un film che parla di vita
Kasia Smutniak è Elena, barista che coltiva il sogno di aprire un bar tutto suo al posto di un vecchio distributore abbandonato. Francesco Arca è Antonio, un uomo rozzo e omofobobo che sembra aver poco da spartire con la ragazza. Ma ad un certo punto della loro conoscenza qualcosa cambia: è il momento in cui Antonio si scopre mostrando una sua debolezza – è affetto da dislessia – quello in cui cambia lo sguardo di Elena su di lui. Inaspettatamente scoppia la passione e in un battito di ciglia ci ritroviamo qualche anno più tardi con i due amanti ormai sposati, con due figlie e una quotidianità fatta di litigi continui, aspri, sempre davanti alle bambine. Il film del regista di origini turche si sviluppa infatti su due linee temporali ben distinte: una ambientata nel 2000 e un’altra nel 2014, costringendo il pubblico a domandarsi “E io, dove sarò tra 14 anni? Come sarà la mia vita”.

La diagnosi tardiva manda la vita in fumo
Un normale controllo medico e il mondo si ferma all’improvviso: diagnosi di tumore al seno per il personaggio interpretato dalla Smutniak. Urgenza di iniziare la terapia, sedute estenuanti di chemioterapia e una vita, una famiglia che si prepara ad andare a rotoli. Ma c’è l’amore, l’amore come unico scudo contro i capelli che cadono e il corpo che cambia sino a diventare quasi irriconoscibile. Özpetek sfiora delicatamente la sfera psicologica portata in ballo dalla diagnosi di tumore mostrando modi diversi di mettersi faccia a faccia con la malattia. Tuttavia, “Allacciate le cinture” non vuole essere definito un film sulla malattia: “Nel cinema di oggi è difficile parlare di malattia: il pubblico vuole prevalentemente divertirsi, ma noi puntavamo a far piangere e ridere insieme. Allacciate le cinture non è un film sulla malattia, ma un film sull’amore e anche sul tempo, un tema che mi ha sempre affascinato”, spiega il regista.

Il momento di “allacciare le cinture” e fare prevenzione
Gli spettatori della pellicola durante la visione compiono un viaggio sulle montagne russe passando da momenti di amore, sesso e passione ad attimi di disperazione, paura, sconforto. Insomma, “Allacciate le cinture” è lo specchio perfetto della vita di ognuno di noi, una vita fatta di momenti idilliaci, difficoltà, problemi e anche tragedie. Il titolo porta proprio a riflettere su questo aspetto dell’esistenza umana: “Il titolo è dovuto al fatto che, nell’arco della vita, arriva sempre un momento in cui è necessario allacciarsi le cinture. Io ho giocato su tutto quello che può capitare in un’esistenza, concentrandomi sui sentimenti più forti, l’amore e l’amicizia; ai quali, in alcuni casi, si aggiunge anche la solidarietà”, conclude il regista. Il regista mostra sul grande schermo ciò che potrebbe accadere ad ognuno di noi, il film diventa così un monito per ricordare che la prevenzione può salvare la vita, mentre una diagnosi tardiva può rivelarsi una spietata condanna.