Come tenere sotto controllo il problema? Quali sono i costi economici? Ed è possibile prevenirle? La prevenzione delle cadute è una priorità di salute pubblica nelle persone anziane. Un paziente su 3 oltre i 65 anni cade almeno 1 volta all’anno. Di questi, il 43% cade più di una volta nell’arco di un anno e il 60% delle cadute avvengono in casa.

Ne parliamo insieme al Dott. Massimo Giovale, specialista in Geriatria e Reumatologia con particolare riferimento alle fratture nell’anziano, già Responsabile della S.S. Medicina Funzionale Apparato Locomotore e del Centro Anticadute Asl3 Genovese.

Cadute e terza età

Gli episodi di caduta aumentano con l’aumentare dell’età, con l’incremento delle patologie e del numero di farmaci assunti (già assumere 4 farmaci al giorno è ritenuto condizione favorente le cadute). Con il progredire dell’età oltre i sessant’anni si assiste sia ad un progressivo rallentamento dei riflessi protettivi e ad una riduzione dell’abilità e dell’efficienza posturale. Sono ampiamente noti i costi economici annuali delle cadute (ad esempio, in USA nel 2020, 60 miliardi di dollari; i costi in Italia delle fratture nel 2017 ammontano a 9,7 miliardi di euro).

Le conseguenze sul sistema sanitario

Gli eventi caduta comportano la necessità frequente di accessi al pronto soccorso, di ricovero ospedaliero sia per la diagnostica eziologica, sia per la gestione di traumatismi minori. Alcune volte l’evento traumatico si complica con fratture ossee e, nei casi più gravi, con la morte del paziente. Nei paesi occidentali (USA ed EU) circa i tre quarti delle morti a seguito di caduta accidentale si verificano tra gli ultra 65enni (che costituiscono solo il 13% della popolazione in USA). Tra gli anziani ospedalizzati di età avanzata affetti da traumatismo maggiore a seguito di una caduta, purtroppo solo circa la metà sopravvive più di un anno; mentre le cadute ripetute successive al ricovero e la non condizione di non completo recupero della capacità della deambulazione e delle autonomie funzionali, obbligano frequentemente il paziente al ricovero in residenze assistite.

Con le cadute, aumenta ancora di più la paura di cadere. L’impossibilità di essere autonomi dopo una caduta è presente soprattutto nei soggetti di età pari o superiore a 75 anni, a seguito di una frattura di femore. “Per tutte questi motivi il problema della valutazione del rischio di caduta e delle possibili strategie per cercare di ridurne la frequenza e gli effetti negativi rappresenta una delle sfide più urgenti e complesse alle quali far fronte nella Medicina attuale”, spiega lo specialista.

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Pazienti anziani e cadute frequenti: quali indicazioni?

Purtroppo, non esiste ad oggi una terapia farmacologica in grado di ridurre il rischio di caduta. Anzi, molti farmaci hanno come effetti collaterali l’aumento del rischio. Pensiamo, ad esempio, solo al gruppo degli psicofarmaci. L’integrazione con la vitamina D è necessaria e fondamentale per la mineralizzazione scheletrica. Più studi scientifici sono già stati fatti e sono in corso per determinarne gli effetti sulla capacità posturale del soggetto. Mancano, per ora, ancora dati definitivi, condivisi e certi a livello scientifico. Le ultime linee guida di più Società Scientifiche internazionali e nazionali in più discipline (Geriatria, Ortopedia, Reumatologia, Neurologia e Fisiatria in particolare) esortano i professionisti a controllare regolarmente i soggetti non solo anziani, verificando la loro competenze posturale e cercando di quantificare il loro rischio di caduta. C’è ampia condivisione scientifica (Approfondimento) su quali siano i quesiti più semplici e rapidi da valutare nel paziente nel momento in cui si sta cercando di riconoscere i principali fattori di rischio: la presenza di cadute e lesioni da caduta nell’anno precedente, la sensazione o paura di cadere o di instabilità quando si sta in piedi o si cammina. In assenza di questi tre fattori i soggetti sono di solito a basso rischio di caduta e si può semplicemente consigliare una regolare attività fisica ed educazione per mantenere l’equilibrio/andatura/forza muscolare. Ma in presenza di uno di essi dovrebbe essere intrapresa una valutazione complementare che comprende test sull’equilibrio, della forza muscolare, seguita dalla valutazione specialistica e competente della capacità e delle caratteristiche del cammino del singolo paziente.

 

Approfondimenti:

Lo studio – LOW-ENERGY PULSED ELECTROMAGNETIC FIELD THERAPY REDUCES PAIN IN FIBROMYALGIA: A RANDOMIZED SINGLE-BLIND CONTROLLED PILOT STUDY

Lo studio - LOW-INTENSITY PULSED ELECTROMAGNETIC FIELDS IMPROVE PHYSICAL PERFORMANCE IN A DOSE-DEPENDENT MANNER: AN OBSERVATIONAL STUDY IN OLDER ADULTS WITH RHEUMATIC DISEASES 

Lo studio – A short review on the influence of magnetic fields on neurological diseases

Lo studio – Effect of repeated application of low-intensity pulsed electromagnetic fields (PEMF) on gait speed in older adults with a history of falls

Lo studio – Short-term effect of low-intensity, pulsed, electromagnetic fields on gait characteristics in older adults with low bone mineral density: a pilot randomized-controlled trial

Lo studio – Efficacia dei campi magnetici a bassa intensità sulla velocità del cammino negli anziani con storia di cadute (p. 192)