Anche in Implantologia possiamo parlare di terzo millennio
Ai microfoni di Qui Salute Magazine, il Dott. Guido Schiroli, specialista in Implantologia Subperiostale, ci parla della nuova tecnologia grazie alla quale è possibile eseguire interventi di Implantologia su pazienti che non dispongono di sufficiente osso.
Si tratta di un nuovo tipo di implantologia chiamata iuxtaossea o subperiostale perché non sfrutta l’altezza dell’osso, che in questo caso è scarsa, quanto la sua forma, andando a costruire un impianto su misura, come un vestito sartoriale. L’impianto quindi si appoggia sull’osso al di sotto della gengiva, quel che si chiama periostio, motivo per cui l’impianto si chiama subperiostale (o iuxtaosseo).
“Oggi sono molti i pazienti che purtroppo non hanno abbastanza osso per eseguire la tecnica tradizionale, ed ecco che entra in gioco questa tecnica che ha una soluzione molto efficiente e poco invasiva per trattare questi pazienti. Quindi utilizziamo le moderne tecnologie digitali computerizzate per realizzare impianti su misura e poter eseguire interventi molto più semplici e sicuri” spiega il Dott. Schiroli.
La procedura, mostrata tramite un simulatore (VIDEO)
All’interno del video, il Dott. Schiroli spiega come funziona l’Implantologia Subperiostale (o iuxtaossea) presentandoci, tramite l’ausilio di simulatori, questa innovativa tecnica.
Una volta fatta la tac al paziente, vengono costruiti degli impianti con una tecnica di microfusione di particelle di titanio, modellati al computer sulla misura e sulla forma dell’osso del singolo paziente. La gengiva viene leggermente sollevata e, una volta inserito l’impianto, spuntano dalla gengiva i pilastri necessari per inserire i denti mancanti. Prima dell’intervento vengono costruiti sempre col computer i denti provvisori. In questo modo, il giorno stesso dell’intervento, il paziente può già masticare e sorridere correttamente eseguendo il carico immediato.
Anni di sperimentazione
In realtà questa è una tecnica che esisteva già. Il concetto di un impianto su misura che si appoggia e non entra nell’osso era già stato introdotto negli anni 50 in Svezia, ma dopo un periodo di utilizzo, per via dei limiti dettati dalla realtà storica di allora, fu poi abbandonato a causa della complessità e dei rischi.
Un percorso lungo che ha richiesto diversi anni di sperimentazione per mettere a punto la tecnica: “Abbiamo iniziato a collaborare con un’azienda che costruisce protesi biomedicali per l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna per problematiche ortopediche, che quindi ha una grande competenza nel costruire impianti su misura. Dodici anni fa, per 2 anni, abbiamo iniziato i test biomeccanici. Dopodiché abbiamo iniziato la fase clinica e gli interventi, e in questi 10 anni, abbiamo operato più di 80 pazienti.
Quindi oggi possiamo proporlo forti della nostra esperienza e casistica che ci permette di curare questi pazienti con modalità poco invasiva e con risultati certi”.
E le tecniche tradizionali precedenti? “Quello che possiamo dire è che questa tecnica ci permette di curare una grande fascia di popolazione che non può inserire impianti tradizionali e che è ancora oggi obbligata obbligata a tenere le protesi mobili chiamate dentiere. Quindi, oggi con questa tecnica siamo certi che si possono evitare interventi molto più complessi come gli innesti ossei o altri molto pericolosi come l’inserimento di impianti zigomatici che si devono ancorare addirittura vicino alla cavità orbitale. Questa tecnica inoltre si attua sempre in anestesia locale, evitando ricoveri e degenze e potendo inserire i denti immediatamente”.