giovedì, Marzo 20, 2025
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Social media: risorsa preziosa o potenziale rischio per la salute?

I social media sono nati sul finire degli anni ’90, ma hanno vissuto la loro esplosione con l’avvio di questo secolo, la continua crescita di internet e della digitalizzazione, tanto da essere attualmente arrivati ad invadere letteralmente le nostre vite. Diventa sempre più una rarità trovare qualcuno che non abbia mai sperimentato o non sia attivo su neanche una delle celebri piattaforme. Facebook, Instagram, YouTube, X, TikTok ma anche WhatsApp e Telegram o, in ambito lavorativo, LinkedIn – solo per citarne alcuni – vedono protagonisti quotidianamente miliardi di persone al mondo che, complice la crescente diffusione degli smartphone, hanno maggiore facilità a restare connessi indipendentemente dalla loro posizione e dalle situazioni di vita.

L’utilizzo dei social può essere accompagnato da motivazioni interessanti – come la semplicità di comunicazione tra persone geograficamente lontane o di raccolta di notizie da una molteplicità di fonti in tempo reale – ma nasconde anche alcuni lati “oscuri”. Sebbene, con la crescita della digitalizzazione, il confine tra mondo fisico e digitale sia diventato sempre più labile, un’eccessiva connessione con le piattaforme ed una profonda immersione nelle loro dinamiche può risultare alienante e portare a perdere il contatto con la normale vita quotidiana. In tal senso, non è rassicurante pensare che i social media siano dotati di caratteristiche mirate proprio a farci restare connessi il più a lungo possibile. Infatti, le notifiche, le novità, i contenuti personalizzati sono realizzati per catturare la nostra attenzione ed essere coinvolgenti, mentre i “like”, le condivisioni e i commenti attivano un sistema di ricompensa immediata che determina il rilascio di dopamina, utile a farci sentire meglio.

Questa gratificazione – raggiungibile in maniera tutto sommato semplice – può spingerci a cercarne continuamente di nuove, legandoci dunque fortemente ad una sorta di “approvazione” altrui, tale per cui risulti difficile staccarci dai social, confondendo la reale socializzazione con quella virtuale generata, però, all’interno di ambienti in cui gli inserzionisti pubblicitari sono i reali utilizzatori mentre le persone costituiscono il prodotto venduto. Ad oggi non è ancora riconosciuta ufficialmente come malattia ma, esistendo già diverse ricerche in merito, si può parlare – secondo la definizione data da uno studio dell’Università norvegese di Bergen – di dipendenza (nota come “social media addiction”) laddove si riscontrino forti motivazioni ad essere e restare connessi con le piattaforme, dedicando loro tanto tempo ed energie da andare a discapito delle attività lavorative o di studio, delle relazioni sociali, della salute e del benessere personale. In questi ambiti si parla spesso di FOMO, ossia “Fear of Missing Out” (cioè “paura di essere tagliati fuori”) per indicare quella forma di ansia derivante dal desiderio di restare continuamente in contatto con i social media per sapere cosa fanno gli altri, temendo di essere esclusi da esperienze, appuntamenti, comunicazioni o situazioni sociali particolarmente gratificanti e appaganti.

Oltre a questo, la “connessione eccessiva” può generare disturbi quali la riduzione del sonno, l’alterazione del ritmo sonno-veglia, o anche inquietudine, irritabilità, stanchezza, tachicardia, disturbi della vista, senza trascurare i problemi muscolari, i sintomi di sovraccarico di informazioni – noti come “information overload” o più semplicemente “technostress” – e, nei casi più estremi, attacchi di panico e depressione. In tale contesto, l’adozione di alcuni comportamenti “virtuosi” può essere fondamentale per prevenire la dipendenza. Ad esempio, si possono suggerire la disattivazione delle notifiche in determinati momenti della giornata, il posizionamento dello smartphone lontano dal letto durante la notte, l’eliminazione degli accessi ai social durante la routine mattutina ma anche la coltivazione di altre attività quali hobby e passioni. In ultima analisi, si può intraprendere un percorso psicologico con uno specialista.

La fascia più sensibile è quella dei giovani, ma tutti siamo potenzialmente a rischio, per cui è fondamentale accrescere la generale consapevolezza che la vita va vissuta maggiormente a contatto con le persone, provando emozioni reali, e meno “filtrata” da uno schermo freddo che ci presenti una visione del mondo, per certi aspetti, artefatta.

Articolo a cura di Samantha Cosentino e Davide Sardi

Gli autori possono essere seguiti sul canale WhatsApp “TG Cyber” che fornisce, con un linguaggio semplice e alla portata di tutti, notizie, consigli e brevi spunti in tema di cybersecurity, protezione dei dati e utilizzo consapevole degli strumenti digitali.

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