La rete globale, tra tanti servizi e comodità, ha portato anche una serie di pericoli capaci di condizionare pesantemente la vita delle persone fino a metterla a rischio. Non si tratta solo di truffe, estorsioni o furti di identità, di cui abbiamo parlato nelle puntate precedenti, ma anche di autentiche forme di violenza. A tal proposito, capita purtroppo sempre più spesso di sentir parlare di episodi di cyberbullismo, anche noto come bullismo elettronico. Si tratta di una forma di bullismo in cui i comportamenti aggressivi e le prepotenze vengono attuate attraverso l’utilizzo di internet e delle altre tecnologie digitali, messa in atto da una o più persone che si considerano “potenti”, nei confronti di una o più percepite come “deboli”, attraverso l’invio continuo, ripetuto e sistematico di messaggi offensivi, insulti, foto o video umilianti tramite SMS, email, diffuse in chat o sui social network allo scopo di molestare, offendere, minacciare, diffamare e ferire.
Nei casi più gravi, lo stesso soggetto può essere sia bullo che cyberbullo, estendendo le prevaricazioni attuate nel mondo fisico anche a quello virtuale. La facilità di accesso ai device, peraltro, ha esteso la portata del fenomeno a livelli talmente pericolosi da poterlo considerare un problema di salute pubblica. Infatti, le conseguenze generate sul benessere delle vittime, colpite in particolar modo nel periodo adolescenziale, possono essere considerevoli e variare tra disturbi d’ansia e dell’umore, autolesionismo, disturbi da deficit di attenzione o da iperattività, problemi comportamentali anche correlati ad abuso di sostanze psicotrope e/o alcol, fino ad arrivare in certi casi persino al suicidio. Un simile tragico epilogo può riguardare anche il fenomeno del cosiddetto “revenge porn”, una sorta di “vendetta pornografica” in grado di trasferire la dimensione più intima di una persona sul web, cioè sul palcoscenico probabilmente meno riservato in assoluto.
La rete, infatti, tramite social network, app di messaggistica, siti e piattaforme di dubbia moralità, è capace di far visualizzare determinati contenuti a milioni di persone in pochi minuti e, per via di un meccanismo di diffusione sostanzialmente incontrollabile, non cancella praticamente nulla. In tal modo, si arriva a rovinare la reputazione delle vittime di queste autentiche violenze – prevalentemente donne – che arrivano frequentemente a sviluppare disturbi di ansia, depressione e stress post traumatico o disagi di natura sociale, come la chiusura in una forma di isolamento accompagnata da complicazioni nelle relazioni future.
I colpevoli sono soggetti senza scrupoli, spesso legati alle vittime da una precedente relazione finita male o quantomeno dal desiderio perverso di bullizzarle, umiliarle pubblicamente o ricattarle a scopo di estorsione. In tale contesto, è necessario ricordare che la “vendetta pornografica” costituisce un reato – introdotto dal cosiddetto Codice Rosso (ossia la legge n.69 del 2019) all’articolo 612-ter del Codice Penale – da cui possono derivare pene detentive da uno a sei anni e sanzioni da 5mila a 15mila euro, con aggravanti se le azioni sono compiute ai danni del coniuge, del partner attuale o di uno precedente. Per entrambi questi fenomeni, nell’ambito di un approccio collettivo che deve coinvolgere istituzioni, organizzazioni e cittadini, è quindi essenziale educare – soprattutto, ma non esclusivamente – i giovani al rispetto degli altri e ad un utilizzo consapevole degli strumenti elettronici, al fine di comprendere quanto la tecnologia possa e debba essere un aiuto e non uno strumento per generare nuove forme di violenza.
Al prossimo appuntamento, per scoprire alcune buone prassi per la nostra sicurezza informatica!
Articolo a cura di Samantha Cosentino e Davide Sardi
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