Un amico per la vita
Quante volte ci sarà capitato di tornare a casa dopo una giornata snervante e trovare il nostro “amico a 4 zampe” pronto ad accoglierci, regalandoci quello stato di benessere sincero e disinteressato che solo un buon amico è in grado di trasmettere? Ma soprattutto, quante volte ci siamo soffermati a riflettere, che quello stesso stato di benessere, potesse in qualche modo rappresentare una forma di terapia? Approfondiamo il tema della Pet Therapy attraverso testimonianze e contributi divulgativi per capire insieme i meccanismi di quello che oggi viene considerato un importante supporto terapeutico.
La Teoria di Levinson
Il termine Pet Therapy nasce dall’esperienza dello psichiatra infantile Boris M. Levinson, che in seguito ad un evento fortuito e casuale, osservò come il supporto di un animale domestico durante la terapia, fosse in grado di migliorare il rapporto emotivo con il paziente, favorendo un canale di comunicazione e stimolando una partecipazione attiva del soggetto, mai riscontrata in precedenza.
Levinson aveva in cura un piccolo paziente autistico che non riusciva ad aiutare in modo efficace, nonostante i diversi trattamenti e i tentativi di comunicazione. Un giorno il piccolo si presentò alla visita con leggero anticipo rispetto all’orario prefissato e lui lo fece accomodare nel suo studio dimenticandosi di fare uscire il suo cane Jingles. Non appena questi vide il bambino, si diresse verso di lui e cominciò a leccarlo e a richiamarne l’attenzione. Il piccolo non mostrò alcun tipo di timore e ne fu talmente conquistato che cominciò ad interagire con lui con estrema naturalezza.
Dopo quell’incontro, il piccolo manifestò più volte il desiderio di tornare nello studio del medico per potere giocare ancora con il suo “nuovo amico”. Questo meccanismo di empatia venne poi trattato successivamente dallo stesso Levinson in cui ci spiega come il bambino nel tempo, continuò a giocare con Jingles e questo gli permise, attraverso l’osservazione e l’ inserimento nel gioco, di creare una via di comunicazione con il suo giovane paziente. La presenza di un animale permetteva al bambino di esprimere le proprie difficoltà in modo indiretto senza essere intimorito dal rapporto diretto con il terapeuta. Dopo questo evento lo Psichiatra sviluppò la teoria della Pet Oriented Child Psychotherapy, basata sul concetto di identificazione dell’animale come figura di supporto e di sostegno, grazie al quale il paziente riesce a parlare più tranquillamente della sua vita e delle sue inquietudini, abbattendo quel muro di “difesa” dietro il quale si è soliti rifugiarsi nelle situazioni di paura o disagio.
Pet Therapy: i campi di applicazione
Oggi le linee guida Nazionali definiscono quelli che sono gli standard operativi per la corretta applicazione degli “Interventi Assistiti con gli Animali”. Le figure professionali che assumono un ruolo fondamentale nell’applicazione di questa forma terapeutica sono molteplici: educatori, psicologi, medici, veterinari, cinofili. Ognuno contribuisce con la propria competenza, all’interno di un progetto a tutti gli effetti “multidisciplinare” per sviluppare e definire i percorsi formativi più adeguati a sostegno dello stato di salute. Numerosi studi dimostrano come il ruolo degli animali, in particolare negli ospedali e nelle case di cura, rappresenti uno strumento di supporto nel mantenimento dello stato di benessere psicofisico. Spesso, come accade in questi luoghi, le persone lontane dall’affetto e dalla compagnia dei propri cari, trovano sostegno e motivazione nella presenza di un animale domestico che agisce come “strumento di cura”, favorendo argomenti di conversazione con gli altri ospiti, stimolando i rapporti sociali e colmando il disagio che ne deriva dal senso di solitudine. Diverse le tipologie di approccio quindi, dove vengono definiti dei percorsi mirati in relazione alle necessità che possono comprendere attività ludico ricreative, educative o riabilitative e terapeutiche.
Pet Therapy: un ponte per la mente
Non solo terapia del corpo quindi, ma supporto per la mente, capace di sfruttare quei meccanismi di autoguarigione che spesso trovano riscontro anche verso coloro che ne sono inconsapevoli.
La capacità degli animali di rappresentare un ponte nelle relazioni sociali e nella comunicazione, colloca la pet therapy all’interno dell’ambito educativo, dove la promozione del rapporto bambino-animale, ha dimostrato una grande efficacia nel contrastare problemi comportamentali quali difficoltà di apprendimento, deficit di attenzione e manifestazioni legati alla sfera emotiva. Il supporto della pet-therapy trova quindi spazio nel favorire l’integrazione sociale nei bambini e adolescenti con patologie caratterizzate dal ritardo dello sviluppo. Numerosi studi infatti hanno evidenziato che crescere con un animale, influisca positivamente sulla personalità dei bambini, aumentando l’autostima, la fiducia in se stessi, l’empatia e favorendo lo sviluppo del senso di responsabilità.
Chi trova un amico…
Che sia quindi di “supporto” terapeutico o semplicemente un amico con cui crescere, prendersi cura di un animale domestico, fa bene alla salute e ci rende persone migliori. Lui non ci giudica, ci accetta per quello che siamo e ci permette di lavorare attivamente sulla nostra sfera emotiva. Mille buoni motivi quindi per tenersi “allenati” , ricordando sempre che “chi trova un amico, trova un tesoro!”