Il 13 gennaio di ogni anno si celebra la Giornata mondiale del dialogo fra religioni e omosessualità, istituita da Arcigay per commemorare il suicidio, nel 1998, di Alfredo Ormando. Gay e cattolico, Ormando si tolse la vita in segno di protesta in Piazza San Pietro: un gesto di denuncia verso l’omofobia e totale chiusura delle gerarchie cattoliche nei confronti della comunità LGBT+. Da allora le posizioni si sono fatte sicuramente più sfumate e si è aperta una via per il dialogo.
C’è stato un momento di svolta?
Per allargare la prospettiva temporale, basti pensare che nel 1998 erano trascorsi appena 8 anni da quando l’OMS aveva tolto l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. C’è stato un momento di svolta? Sicuramente la frase di papa Francesco “Chi sono io per giudicare un gay?” che per la prima volta ha portato in primo piano due concetti importanti: sospendere il giudizio nei confronti delle persone e chiamare le situazioni con il loro vero nome. E’ stato il primo Papa a pronunciare la parola “gay”. Questa è stata una piccola rivoluzione, semantica al momento, ma sicuramente una rivoluzione.
La testimonianza di Andrea Rubera
“Il mondo LGBT è molto variegato ed è anche giusto sia così. Dentro questo mondo ci sono le persone LGBT credenti che, a loro volta, sono multi-sfaccettate” aveva spiegato Andrea Rubera, portavoce di Cammini di speranza, associazione nazionale di cristiani LGBT+. “È capitato spesso che, all’interno della galassia LGBT, ci fosse chi percepisce l’esistenza delle persone LGBT credenti come un sostegno alla dottrina della Chiesa Cattolica e a quanto essa dice nei confronti del tema omosessualità. In realtà non è così. Molti di noi non si ritrovano in quella dottrina, proprio a partire dalla verità e dalla bellezza delle nostre esistenze. Ma alla fine la comunità di fede è un po’ una famiglia. Possiamo avere contrasti, anche forti, con altri membri di questa famiglia, ma esserne parte significa partecipare, non uscirne. I cambiamenti, la crescita, delle organizzazioni di cui ci sentiamo parte, partono da noi stessi e da come decidiamo che le nostre vite possano diventare lievito per la crescita dell’intera comunità”.