Nelle nostre vite, ormai, il confine tra online e offline è diventato sempre più sottile. Le tracce digitali che generiamo sono innumerevoli e riguardano vari aspetti che vanno – solo per citarne alcuni – dalle comunicazioni sulle applicazioni di messaggistica ai pagamenti elettronici, dallo sfruttamento dei servizi messi a disposizione dagli enti pubblici alla possibilità di partecipare a lezioni, corsi o riunioni di lavoro da remoto. I dati generati in ambiente digitale sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi anni, seguendo una tendenza che non sembra destinata ad arrestarsi, almeno nel breve periodo.
La condivisione ossessiva di contenuti personali
Una quantità significativa di queste informazioni però le pubblichiamo direttamente noi sui social network o tramite i sistemi di messaggistica istantanea (WhatsApp, Telegram, Signal, ecc.), con un’azione che per tanti è diventata pressoché abituale e certe volte persino ossessiva. Tra questi, non sono pochi i genitori che caricano regolarmente le foto e i video dei propri figli, anche piccolissimi. Talvolta viene fatto per comunicare con familiari e amici che vivono lontano, ma spesso è solo per aumentare il numero di “like” o di “follower”, per appagare quel bisogno di approvazione per molti diventato quasi vitale ma anche ansiogeno, che potrebbe essere replicato dai minori.
Il fenomeno dello Sharenting
Questo fenomeno ha purtroppo assunto una diffusione tale da aver guadagnato un termine dedicato e dotato di connotazione negativa: si parla, infatti, di sharenting, dalla contrazione di “share”
(condividere) e “parenting” (genitorialità). Al riguardo, secondo uno studio del Journal of Pediatrics a gennaio 2023 (“Online Sharenting: The Dangers of Posting Sensitive Information About Children on Social Media”), l’81% dei bambini occidentali e addirittura il 92% di quelli statunitensi ha una presenza online già prima dei due anni di età. In tale quadro, infatti, sono proprio i genitori a sottovalutare molti rischi per i loro figli perché, anche se le intenzioni possono essere – in alcuni casi – umanamente comprensibili, i pericoli del web sono tutt’altro che marginali. L’eccessiva divulgazione di informazioni determina per i ragazzi, in prima battuta, una perdita di controllo dei propri dati – tipica di social e app di messaggistica – che ben difficilmente potranno mai sparire completamente dalla rete. In questo modo, inizierà sin da piccolissimi a prendere forma la loro identità digitale, cioè quell’immagine offerta online – in questo caso a loro insaputa – che, a distanza di tempo, potrebbero anche non approvare, con possibili conseguenze anche nella relazione con i genitori.
Metadati e condivisione imprudente
Spesso si tende a trascurare che le immagini digitali portano online anche dati aggiuntivi, i cosiddetti metadati, che possono fornire ad esempio informazioni sul luogo in cui una foto viene
scattata. Se pensiamo poi di condividere online aspetti quali la scuola frequentata, le passioni, gli sport praticati e i gusti dei nostri figli, si facilita enormemente l’azione di criminali che puntano ad
avvicinare ed adescare i minori. Le immagini, inoltre, potrebbero essere usate o comunque manipolate per generare materiale pedopornografico, impiegate per fini ritorsivi o, in ogni caso, illegali da parte di terzi. Potrebbero condizionare la corretta formazione della personalità dei ragazzi e la loro dimensione relazionale in futuro. Per fare un esempio, chi ci garantisce che una foto o un video non possa essere la causa di successivi atti di bullismo o cyberbullismo ai danni dei minori? Nessuno. Il pericolo, anzi, è estremamente reale.
Come proteggere i minori online
E allora dobbiamo essere prudenti ma, se proprio vogliamo pubblicare immagini dei nostri ragazzi, almeno applichiamo alcuni accorgimenti, come quelli suggeriti dal Garante per la protezione dei dati personali e da Save the Children, tra cui l’oscuramento del loro volto (potrebbe essere coperto, ad esempio, da un’emoticon), la limitazione della condivisione alle persone conosciute e affidabili nonché la configurazione degli aspetti di privacy della piattaforma o dello strumento di comunicazione utilizzato ai livelli che garantiscono la maggiore tutela. Inoltre, se sono già adolescenti, è opportuno condividere con loro le scelte su cosa pubblicare, fermo restando che – a tutte le età – è sempre meglio evitare la pubblicazione dettagliata e minuziosa di ogni aspetto della loro vita.
In un simile contesto, le scuole, i pediatri di libera scelta, le associazioni frequentate assumono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare genitori e figli nel “fare rete” sul corretto utilizzo delle
tecnologie al fine di prevenire i relativi rischi a tutela di quella che viene definita “web reputation”, ossia la reputazione online di coloro che, oggi ragazzi e ragazze, saranno gli uomini e le donne di
domani.
Articolo a cura di Samantha Cosentino e Davide Sardi
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