Benché ormai da decenni l’Olocausto venga ricordato in modi diversi – dal cinema alla musica, dalla letteratura all’arte – il Giorno della Memoria così come lo conosciamo noi oggi è in realtà di recente creazione. Istituita, infatti, il 1° novembre 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Giornata della Memoria è una ricorrenza internazionale, celebrata il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le oltre 6 milioni vittime della Shoah, morte nei ghetti, nei campi di sterminio e negli eccidi in Polonia e nei territori dell’Unione Sovietica sotto occupazione nazista, luoghi in cui vivevano o dove furono condotti a morire da tutta Europa.
La data scelta non è casuale: è stato, infatti, stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio proprio perché in quello stesso giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa sovietica – impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania – entrarono per la prima volta nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau e liberarono tutti i superstiti. Si stima che un milione di vittime dell’Olocausto sia perita proprio lì, ad Auschwitz e Birkenau, in Polonia.
Il 27 gennaio 1945 furono aperti i cancelli di Aushwitz
Mentre l’Armata Rossa avanzava, le truppe naziste e le SS di guardia nel campo di Auschwitz-Birkenau cominciarono a temere il peggio. Il tutto culminò il 18 gennaio, quando – per paura di essere catturati dall’esercito sovietico – i gerarchi nazisti diedero inizio alla ritirata, facendo evacuare tutti i prigionieri sani: oltre 60mila prigionieri che le SS portarono via per un’ultima e terribile “marcia della morte” verso i lager dell’Ovest, dove purtroppo – a causa del freddo inverno polacco, delle loro condizioni di salute già precarie e delle angherie degli aguzzini – arrivò solo una percentuale minima di superstiti.
Nel frattempo, per tentare di cancellare le tracce dei loro crimini, il 20 gennaio i nazisti fecero saltare numerose baracche e forni crematori di Auschwitz e, soprattutto, Birkenau, dove ancora oggi sono presenti solamente i comignoli.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino – guidata dal maresciallo sovietico Ivan Konev – entrarono per la prima volta nel campo di sterminio polacco, dove – oltre alla devastazione e ai segni delle brutture perpetrate in quegli anni – riuscirono a trovare circa 7mila prigionieri ancora in vita: erano quelli abbandonati dai nazisti perché considerati “malati”.
77 anni dopo, per non dimenticare
Fin da bambini, una delle prime poesie che ti insegnano a scuola per ricordare ciò che è stato è “Se questo è un uomo”, posta a conclusione dell’omonimo libro di Primo Levi, celeberrimo chimico e scrittore ebreo di origini italiane detenuto ad Auschwitz dal 22 febbraio 1944 e costretto alla fuga il 18 gennaio 1945. Sopravvissuto alla Shoah, ma non al suo ricordo.

Qui di seguito riportiamo il testo integrale della suddetta poesia: per non dimenticare, per ricordare che “questo è stato”.
«Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetelele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi».