La figura professionale dell’O.E.A.S.

Molto spesso le famiglie e le persone con disabilità si trovano ad affrontare l’esigenza di manifestare ed esprimere la propria sessualità senza gli strumenti adeguati, solo quando diventa una vera e propria emergenza. Questo ha portato a cercare di risolvere il problema, attuando semplicemente interventi atti ad arginare questa difficoltà, ad esempio ricorrendo al soddisfacimento dei bisogni sessuali tramite la prostituzione o tramite l’intervento fisico dei familiari stessi, utilizzando farmaci o la chirurgia per eliminare quel bisogno, imponendo punizioni o strategie inibitorie e compensatorie. Tutte queste soluzioni però, oltre a non aver avuto grandi risultati, non considerano il disabile come una persona che ha il diritto di coltivare il proprio benessere sessuale.

Nel 1993 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato un documento nel quale viene riconosciuto il diritto a tutte le persone con disabilità di esperire la propria sessualità. Tale concetto è stato ribadito ancora più chiaramente nella Dichiarazione dei Diritti sessuali della WHO nel 2006 in cui si afferma che è diritto di tutti gli esseri umani, liberi da coercizione, discriminazione e violenza.
Sottolineare il concetto di benessere sessuale invece che quello della problematica ci induce a pensare un intervento concreto in maniera differente e a questo proposito l’educazione sessuale-affettiva risulta essere un’ottima strategia. Infatti, come tutti gli altri comportamenti dell’essere umano, anche quello sessuale è in gran parte oggetto di apprendimento ed è quindi possibile insegnare la sessualità anche, e soprattutto, a chi ha più difficoltà nell’impararla e meno occasioni di sperimentarla.

L’assistenza sessuale per le persone con disabilità

Nel 2014, il Comitato LoveGiver, ha presentato in Parlamento una proposta di legge per istituire e legalizzare la figura dell’O.E.A.S. (Operatore all’emotività, affettività e alla sessualità). L’O.E.A.S. nasce con l’idea di favorire nella persona con disabilità un’adeguata conoscenza di sé e del proprio corpo, al fine di renderla protagonista responsabile delle proprie azioni e delle proprie scelte, sessuali e sentimentali.
Il dibattito che ruota intorno all’introduzione di questa figura professionale, spesso scaturisce da una confusione legata ad un equivoco tra l’assistente sessuale e i Sex Workers. Una delle differenze sostanziali è che l’O.E.A.S. per diventare tale, riceve un percorso di formazione di tipo psicologico, sessuologico e medico, che gli permetterà di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico e/o cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale e a indirizzare al meglio le proprie energie interne, spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di frustrazione, rabbia e aggressività.

Questa tematica è da anni ciclicamente discussa, ma tutt’ora non ha ancora trovato una risposta definitiva.
Maximiliano Ulivieri, presidente e fondatore del Comitato LoveGiver, ha sentito l’esigenza di informare e spiegare alle persone come nasce l’esigenza di questa figura professionale, illustrando la possibilità di compiere scelte responsabili riguardo alla propria salute sessuale, disponendo di opportunità e di mezzi adeguati. A questo scopo il disegno di legge istituisce la figura dell’assistente per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone disabili. Attraverso i vari tentativi messi in atto per introdurre e regolamentare questa figura professionale, è possibile osservare come il diritto alla sessualità delle persone con disabilità trovi nel nostro paese un terreno ancora molto tortuoso e complesso, nonostante sia da diversi anni un lavoro a tutti gli effetti riconosciuto in paesi come Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Austria.
Ciò non toglie che questo argomento generi, sia nell’opinione pubblica sia in ambienti accademici, una serie di problemi etici più o meno discutibili, tuttora aperti, che rappresentano un nodo importante da sciogliere nel rispetto del benessere sessuale di tutti, disabili compresi.
Indubbiamente è in atto un cambiamento di tipo culturale che vede i media molto attivi nel considerare questa tematica sotto molteplici sfaccettature: articoli di giornale, libri, persino film stanno contribuendo ad affrontare l’argomento con lo scopo di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica.
Si iniziano a sfaldare, seppur molto lentamente idee comuni per cui un disabile è una specie di “angelo” o “eterno bambino” non interessato alla sessualità.
Affrontare la tematica della sessualità nella disabilità non significa soltanto rivendicare un diritto ma poter parlare della crescita, dell’emancipazione e dell’autodeterminazione della persona.

“Ci sforziamo di venire incontro alle persone con disabilità per ogni loro bisogno che non possa essere svolto in completa autonomia: le aiutiamo a vestirsi, spogliarsi, mangiare, lavarsi. Diamo loro carrozzine elettroniche per muoversi, macchine con comandi speciali, computer dotati delle più moderne tecnologie. Eppure di tutti questi diritti, di cui nessuno metterebbe in dubbio la legittimità, ce n’è uno che viene sempre taciuto: quello alla sessualità.” (Ulivieri M. LoveAbility)

Articolo a cura della Dott.ssa Viviana D’Ambrosio
Educatrice, Pedagogista e Consulente Sessuale