Oggi, 12 febbraio, si celebra la Giornata Internazionale dell’Epilessia, istituita nel 2015, con l’obiettivo di portare alla luce le storie e le esperienze di coloro che convivono con questa condizione medica. L’iniziativa mira anche a promuovere l’adozione di strategie di cura sempre più efficaci e inclusive per i pazienti in tutto il mondo. Due importanti obiettivi globali, come riportato sul sito dedicato alla giornata internazionale, sono quello di aumentare del 50% entro il 2031 la disponibilità dei servizi dedicati alle persone colpite da epilessia e di promuovere a livello internazionale lo sviluppo e l’aggiornamento delle leggi volte a garantire i diritti dei pazienti affetti da questa patologia.

I numeri dell’epilessia

L’epilessia rappresenta una patologia cronica del sistema nervoso centrale che può interessare individui di tutte le fasce d’età. Secondo le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa 50 milioni di persone nel mondo sono affette da questa malattia, che costituisce il disturbo neurologico più diffuso a livello globale. Approssimativamente il 75% delle persone affette da epilessia vive in paesi in via di sviluppo e non riceve le cure necessarie, subendo inoltre stigma e discriminazioni. In Italia sono più di 500mila le persone a esserne colpite.

La maggiore incidenza di epilessia nei paesi a reddito medio-basso può essere attribuita a diversi fattori, tra cui il limitato accesso ai programmi di prevenzione e l’incremento dei traumi cerebrali causati da incidenti stradali o da complicazioni durante il parto. L’insorgenza dell’epilessia può essere correlata a traumi cerebrali gravi, danni cerebrali dovuti a mancanza di ossigeno durante il parto, anomalie congenite associate a difetti cerebrali, nonché a infezioni del sistema nervoso centrale come la meningite o l’encefalite. Circa il 25% dei casi di epilessia è considerato potenzialmente prevenibile.

Quali sono i sintomi

Durante una crisi epilettica, si verificano anomale scariche elettriche nella corteccia cerebrale. Queste scariche, a seconda dell’intensità, possono essere classificate in due categorie: parziali o generalizzate. Nelle crisi parziali, soltanto una parte specifica della corteccia è coinvolta, mentre nelle crisi generalizzate, l’intera area corticale viene interessata. Durante una crisi parziale, i sintomi possono includere movimenti incontrollati, sensazioni di formicolio, alterazioni del comportamento, del gusto o della vista. Quando la crisi è generalizzata, si può arrivare fino a una perdita di coscienza. In generale, la durata di questi episodi non supera pochi secondi, o, nei casi più gravi, qualche minuto. Tuttavia, è importante notare che alcuni individui possono sperimentare una sola crisi epilettica nella loro vita; in tal caso, non viene diagnosticata come epilessia. La condizione sarà considerata tale solo se il disturbo si ripresenta almeno una volta.

Cause e possibili cure

Le cause delle crisi parziali richiedono una distinzione: in alcuni casi di epilessia secondaria, sono presenti lesioni cerebrali strutturali, mentre in altre situazioni, non legate a traumi pregressi, si parla di epilessia primaria. Per quanto riguarda le crisi generalizzate, al momento non è possibile individuare una causa precisa, sebbene sia certo che alcuni fattori come l’abuso di alcol, droghe o psicofarmaci possano aumentare il rischio di sviluppare questa condizione. Il trattamento di questa patologia prevede l’utilizzo di farmaci anti-epilettici, con un graduale aumento del dosaggio al fine di ridurre al minimo le crisi. Dopo due anni senza episodi convulsivi, è possibile valutare la possibilità di interrompere la terapia farmacologica.

Anche se l’epilessia è presente, le stime dell’OMS indicano che circa il 70% dei pazienti può vivere senza crisi epilettiche, a condizione di ricevere una diagnosi tempestiva e cure adeguate. Tuttavia, nei paesi a reddito medio o basso, la disponibilità di farmaci antiepilettici generici nel settore pubblico è inferiore al 50%.

Inoltre, molte delle cause di mortalità correlate a questa patologia, con un rischio di morte prematura circa tre volte superiore rispetto alla popolazione generale, sono potenzialmente prevenibili, soprattutto in contesti a medio o basso reddito e nelle aree rurali.