Adolescenti che s’isolano, perdendo interesse e contatto con i propri coetanei e con il mondo reale. Irrealistico? No, purtroppo è la triste realtà. Infatti, secondo l’analisi realizzata dal Gruppo di ricerca MUSA (“Mutamenti sociali, valutazione e metodi”) del CNR-IRPSS (Istituto di Ricerche sulla popolazione e delle politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma), nel nostro Paese, in tre anni, i casi di Hikikomori – termine del fenomeno già conosciuto in Giappone dalla seconda metà degli anni 1980 – sono passati dal 15 al 39.4%, aumentando significativamente durante la pandemia da Covid-19 che, accentuando la transizione di molte relazioni umane verso il contesto digitale, ha avuto impatti determinanti sulla salute mentale e sullo sviluppo psicologico, emotivo e relazionale dei ragazzi.
Dati piuttosto allarmanti, soprattutto se si pensa che i giovani “lupi solitari” – che mantengono la sola frequentazione della scuola nella loro vita o, in certi casi, neanche quella – soffrono di ansia e depressione tanto da sostituire i rapporti sociali diretti con genitori e coetanei con quelli mediati da internet da cui si sentono protetti. Un hikikomori, inoltre, esce di rado dalla propria stanza in cui consuma anche i pasti e non cura la propria igiene personale.
Tra le cause all’origine del fenomeno, sono state individuate un forte disagio all’interno del contesto familiare e sociale, una bassa fiducia relazionale, una scarsa partecipazione alla vita sportiva al di fuori della scuola spesso abbinata ad una forte insoddisfazione per il proprio corpo in una società che spinge verso canoni estetici pressoché irraggiungibili, nonché aver subito in precedenza forme gravi di bullismo o cyberbullismo. Tuttavia, è soprattutto la sovraesposizione ai social media ad aver progressivamente corroso le capacità di interazione degli adolescenti e di conseguenza anche il loro benessere psicologico.
I genitori spesso si trovano impreparati e non riconoscono da subito questo disturbo che, tra l’altro, non ha ancora una diagnosi ufficiale. Di conseguenza, anche la cura non è stata ancora definita benché si stiano adottando diverse strategie terapeutiche familiari che riguardano sia il paziente che i suoi genitori con trattamenti – inizialmente a domicilio e, successivamente, con collegamenti da remoto – finalizzati al contrasto dell’ansia sociale, del senso d’inadeguatezza e della bassa autostima.
Ritornare a vivere è possibile: un graduale percorso di rinascita da “spettatore” ad “attore” della propria esistenza, dalla penombra del ritiro alla luce del palcoscenico della propria vita.
Articolo a cura di Samantha Cosentino e Davide Sardi
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