“Rosaremo è un’associazione sportiva no-profit voluta e fondata da dieci donne che hanno avuto il tumore al seno e che, attraverso il canottaggio, si sono riappropriate della loro vita“. È entusiasta quando racconta come è nata la sua associazione Simona Lavazza, romana, 53 anni, mamma di due ragazze. Simona ha un passato difficile, per due volte si è ammalata di tumore al seno a causa del gene BRCA1, oggi noto come ‘mutazione Jolie’ (dal nome dell’attrice statunitense), che predispone fortemente alla malattia. La prima diagnosi di ‘tumore triplo negativo’, tra i più aggressivi in assoluto (perché nessuno dei tre bersagli molecolari contro i quali esistono trattamenti mirati si riscontrano sulle sue cellule), è arrivata quando aveva 33 anni, la seconda, esattamente dieci anni dopo, a 43. Nel frattempo, per “non farsi mancare nulla”, racconta in modo ironico, ha avuto un dermatofibrosarcoma, una rara forma di tumore del derma a basso grado di malignità.
Com’è nata l’idea di Rosaremo
“Ma non ho mai smesso di fare sport” racconta Simona alla Dire, “da ragazza praticavo canottaggio agonistico e la malattia non mi ha fermata. Ho continuato ad allenarmi, anche durante le terapie, perché lo sport è fondamentale per le donne malate di cancro sia per i benefici fisici che apporta sia per quelli psicologici. L’idea di Rosaremo è nata nel 2015 con lo scopo di far avvicinare più donne possibili a questo sport; all’inizio ero da sola, indossavo una canottiera rosa e andavo a fare le gare. Poi col tempo hanno iniziato ad unirsi anche altre donne, fino a quando, nel 2019, abbiamo costituito una ASD (Associazione sportiva dilettantistica). Oggi siamo in 15 e ci alleniamo tre volte a settimana sul Tevere, due al Circolo Canottieri Aniene e una al Salaria Sport Village, con il supporto di allenatori esperti, fisioterapisti, oncologi e psicologi”.
Il gruppo di atlete di Rosaremo è misto
“Ci sono donne che hanno superato la malattia, altre che stanno facendo la chemioterapia e altre ancora che sono in follow up. Ovviamente- spiega la presidente dell’associazione- il numero delle partecipanti è altalenante, alcune riescono ad allenarsi con costanza e altre meno. Tutte, però, sono accomunate dalla volontà di stare insieme all’aria aperta e di praticare attività fisica“. Ma c’è un messaggio che vuole rivolgere ad altre donne che vivono un momento di difficoltà? Perché dovrebbero venire a remare insieme a voi? “Intanto perché fare sport è ormai diventata una cura a tutti gli effetti, è come prendere una medicina” risponde Simona alla Dire. “E poi perché il canottaggio, così come altre attività fisiche, è una opportunità per riprendere in mano la propria vita. Quando ti imbatti in un tumore al seno diventi un ‘oggetto pubblico’: durante le visite sei costretta a sentirti addosso mani estranee e perdi in un certo senso la tua intimità. Con lo sport, invece, riesci a riappropriarti dei tuoi spazi e del tuo corpo. Da ogni esperienza, anche brutta, può nascere un’occasione“.
L’effetto positivo del canottaggio
Dal canottaggio, dunque, provengono benefici fisici ma anche psicologici. “Su una barca di 8 o 4 persone non conta il singolo ma l’equipaggio, così il far parte di una squadra riabilita la mente con la condivisione dello sforzo, dei pensieri, dei dubbi e dei problemi, aiutando la donna ad uscire dall’isolamento legato alla paura, alla stanchezza ma anche alla vergogna in cui il tumore spesso ti relega“. Secondo la Dott. Maria Alessandra Mirri, la direttrice della Breast Unit della ASL Roma 1, insomma, il principale vantaggio che si trae dal canottaggio è “lo stare insieme a persone che condividono i tuoi stessi problemi: dopo gli allenamenti spesso le compagne organizzano una pizza o un cinema tutte insieme, senza più vergognarsi di uscire perché hanno una protesi, una parrucca o i capelli cortissimi“. La dottoressa Mirri, infine, confida: “Anche io una volta alla settimana vado a remare con le ragazze, ma sono la più scarsa: a metà allenamento sono già stanca, mentre loro continuano a remare, come se nulla fosse. Mi prendono tutte in giro!“.