È molto raro incontrare persone che si descrivono come “avare”, piuttosto sono gli altri a restituirgli questa immagine di Sé. Con il termine avarizia si intende l’attitudine delle persone a conservare i propri averi. L’avidità corrisponde invece alla tendenza ad aumentare ciò che si possiede. In queste brevi righe forniremo brevi input di riflessione sul tema, esplorando le ragioni emotive del comportamento degli avari.
Il significato relazionale dell’avarizia
La psicoanalisi riconduce la strutturazione dell’avarizia alla fase di sviluppo anale del bambino, quando attraverso il controllo degli sfinteri sperimenta un potere nella relazione con la figura di accudimento. Il bambino ad esempio, attraverso l’ipercontrollo degli sfinteri potrebbe attivare le attenzioni materne su di sé, impara a “trattenere” e non dare. Non a caso, non è rado che le persone avare soffrano di stipsi. L’avarizia, tuttavia, si può apprendere per imitazione di uno stile comportamentale familiare avaro o per reazione opposta ad uno stile comportamentale familiare estremamente “spendaccione”. La persona avara esprime una difficoltà a sintonizzarsi con i bisogni altrui, non si rende conto del suo comportamento disfunzionale nella relazione, del dispiacere che può provocare negli altri. Spesso l’avarizia sottende una sfiducia verso l’esterno e verso gli altri e una posizione ipervigile e controllante. Il comportamento della persona avara non trova giustificazione in esigenze concrete, non risparmia per difficoltà economiche o per spese imminenti ma “risparmia perché bisogna risparmiare”.
Quando l’avarizia diviene un problema
L’avarizia non è un comportamento svincolato dall’affettività. Spesso, le persone avare non riescono a stabilire relazioni intime, tendono a costruire rapporti strumentali, in cui sentono di dover controllare l’altro ed utilizzarlo per i propri scopi, intimoriti dal poter essere ingannati e feriti. Sono persone che tendono a non acquistare beni neanche per Sé. Risparmiano sui riscaldamenti anche se fa molto freddo, usano gli stessi indumenti fino ad usurarli pur di non acquistare nuovi capi ecc.. Non sono persone che vivono serenamente ma sono prigionieri della propria mente, di fantasie di controllo. Sono ossessionati dal fantasma della scarsità, temono che donare qualcosa a qualcuno possa rovinarli, vedono il marcio laddove non c è.
L’altro costituisce una minaccia e l’intimità è tendenzialmente evitata
Quando l’avarizia diviene rigidamente presente, pervasiva e influisce sul funzionamento generale della persona (lavoro, relazioni, cura di sé ecc.), sarebbe auspicabile richiedere un intervento specialistico. La richiesta di aiuto non è semplice perché tendenzialmente l’avarizia viene vissuta come egosintonica, non come potenziale problema. Spesso la persona avara ha avuto una figura materna percepita come scarsamente affettiva e controllante. Alla base vi è una ferita narcisistica, uno squarcio nell’esperienza di amabilità. L’avaro non si è sentito amato e non si sente meritevole di amore. La materialità svolge quindi una funzione compensativa. È importante riconoscere la sofferenza dietro l’avarizia e spostare il focus dal comportamento sbagliato alla fragilità, alla centralità della persona oltre il sintomo.
A cura della Dott.ssa Giulia Gregorini
Psicologa – Psicoterapeuta